Insegniamo ai giovani a vivere il loro tempo – dott. Marco Franco (segretario generale IASSP)

I giovani dell’epoca odierna potremmo definirli come una fluttuazione dei senza tempo. Ormai ben poche volte si soffermano a pensare cosa sia bene per la loro felicità, se non altro per staccare da una irrefrenabile routine che sembra inghiottire ogni azione ulteriore volta unicamente a un accrescimento personale.

“La felicità come stato finale, come obiettivo al quale dobbiamo tendere. La felicità come fine concreto, che abbiamo dimenticato”, affermava Bauman. Perché interrogarsi sulla propria felicità è interrogarsi sulla propria vita, è un’indicazione preziosa per capire chi siamo e dove stiamo andando.

L’etimologia della parola felice è riconducibile al termine greco φύω (fyo) che significa produco, genero, faccio essere, e al latino foelix o felix ossia fecondo, fertile, in poche parole appagato, soddisfatto. Interessante quindi come a una minore soddisfazione e produttività giovanile corrisponda questa odierna noncuranza verso una domanda che dovrebbe invece guidare ogni istante della propria esistenza.

E così si invecchia senza però diventare veramente vecchi. In una manciata di decenni si è persa la capacità di “stare”, di fermarsi sulle cose. Tuttavia è solo riuscendo a cristallizzare momenti decisivi che si può vivere realmente un’esperienza.

Nervosismo, inquietudine, affanno, ma soprattutto una depressione intergenerazionale che non conosce limiti anagrafici, caratterizzano sempre più la vita. Una vita che si riduce a una linea retta fatta di istanti estemporanei e scollegati fra loro. Nel de pensiero lo zapping fra gli eventi diventa il grande inganno.

Ai giovani cosa rimane se ciò che vivono non produce vera esperienza? Nulla, una mancanza che non lascia traccia ma è sabbia che scivola dalle loro mani. Meno di un pugno di mosche.

Eppure la condizione giovanile sembra non rientrare in nessuna agenda politica. Si percepisce solamente un sottobosco bisbigliante che a tratti fa emergere una condizione allarmante, spesso disarmante, di disagio. E poi tutto tace, si voltano le spalle o si chiudono gli occhi a questo disastro epocale.

Questa energia potenziale giovanile, non trovando un match nella realtà lavorativa, si sta sfogando con altre modalità e sta attecchendo altrove. Per esempio ci si rifugia in eventi completamente ripetitivi, veri e propri rituali di illusoria esperienza che alimentano quel senso di noia dal quale si vorrebbe invece fuggire. Ciò conduce non solo a patologie psichiche ma anche a rimedi di super sedazione come la droga.

Se non si prenderà sul serio la situazione giovanile inevitabilmente saranno necessarie delle sacche in cui buttar dentro tutti coloro che non ce l’avranno fatta, esseri umani ritenuti inutili.

Anche il ciclo dell’istruzione è diventato l’ennesimo contenitore in cui parcheggiare i giovani. Licealizzazione dilagante, lauree magistrali concluse mediamente dopo i 27 anni, precisamente 27,1, titoli di studio sempre meno spendibili che infittiscono solamente un esercito di “qualcosisti”, come li definisce il sociologo Giuseppe De Rita. Ossia coloro, che pur avendo studiato lungamente, sanno qualcosa, a volte poco e male, spesso niente di utile per entrare nel mercato del lavoro.

Infine, allargando lo sguardo per una panoramica più completa, secondo l’Osservatorio Demos-Coop si assottigliano le differenze tra generazioni e cresce la dipendenza dalla famiglia. Come mai? Gli italiani sono sempre più incapaci di accettare le responsabilità della vita adulta. La vecchiaia è l’unica paura che accomuna tutti, indistintamente, con la “gioventù” che dura fino a 52 anni. Eterni giovani ma nell’accezione infantile di un non voler crescere. Arrendiamoci all’evidenza, viviamo in un’epoca di “passioni tiepide”, definite da Spinoza “tristi”.

Chi sono i giovani dunque? Evidentemente i Grandi Dimenticati. Si parla talmente tanto di loro che quasi ci si dimentica che esistono in carne e ossa. Nessuno ha saputo ascoltare la loro voce, dargli forma, fintamente preoccupati di loro perché fa audience. Meglio anestetizzarla questa voce, distrarla o imbavagliarla.

Un grande silenzio aleggia negli spazi vuoti
In quei pochi rimasti, solo parole al vento
Tutto sembra saturarsi
Boccheggia aria di futuro
Nelle pause qualcosa avverrà.

(Railey)

Articolo a cura del dott. Marco Franco
Segretario Generale – IASSP (Istituto Alti Studi Strategici e Politici per la Leadership)

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